Scuole e Territori

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Le scuole sono organizzazioni centrali per lo sviluppo delle attuali società occidentali e sono spesso al centro di ampi dibatti politici, eppure restano organizzazioni molto fragili nei loro rapporti con le famiglie e con il territorio.

Gli alunni e gli studenti della scuola subiscono i contraccolpi di queste vicende senza strumenti per comprenderle, sollecitati da una pressante richiesta di conformarsi agli ideali delle generazioni precedenti anche a dispetto di un futuro incerto.

E’ da questi vertici, in cui la realtà dei rapporti nel qui ed ora prende il posto della idealità, che pensiamo possa essere letta la crescente richiesta di iter diagnostici rivolti alle famiglie, con percorsi che sempre più spesso hanno come esito diagnosi che ricadono sul singolo alunno, indicato quest’ultimo come lo scarto da una norma, è corredato dei suoi bisogni educativi speciali.

Dalle diagnosi (agli alunni disabili come quelli ad “alto potenziale”) conseguono ingenti investimenti in risorse umane, pubbliche e private, per far fronte di problemi che spesso divengono cronici proprio perché messi a carico dell’alunno e non dei rapporti nei contesti.

Anche le molte risorse che intervengono spesso faticano a mettere in campo un intervento corale, prive nelle prassi di lavoro odierne di reali momenti di coordinamento. L’attivazione di una rete seppur sulla carta molto parlata resta di fatto a carico della competenza dei singoli e delle risorse “straordinarie” che spesso vengono messe in campo. L’ordinario lavorativo di docenti di materia, docenti di sostegno, assistenti specialistici, assistenti alla comunicazione, logopedisti, tutor, psicoterapeuti, neuropsichiatri, resta imbrigliato in un individualismo quale cultura prevalente di vivere i contesti.

Si parla molto di comunità educante indicando spesso con questa non già qualcosa che esiste ma un processo in divenire entro una fitta trama di organizzazioni in cui resta difficile condividere quali siano gli obiettivi della scuola, quali i suoi mezzi per raggiungerli, in che modo essa possa interagire o integrasi con altre agenzie.

Il terzo settore è dato a questo punto della storia del nostro Paese come la leva prevalente per intervenire su quella che oggi viene denominata povertà educativa, oppure sulla dispersione scolastica, o ancora sui giovani NEET, con l’idea che esso possa scongiurare l’oracolo di una scuola povera per i poveri e ricca per i ricchi. Del resto chi oggi rientra nella scuola per lavorarci, dopo anni, dopo averla lasciata da studente, vive spesso la sensazione di tornare in un posto dove tutto è cambiato senza che molto sia cambiato.

Anche la cosiddetta didattica a distanza oggi sembra problematica tutte le volte che di presenta come tentativo di far entrare “la scuola di sempre” entro “i nuovi strumenti di comunicazione”, evitando un pensiero sul rapporto tra le culture pregresse della scuola, i nuovi contesti di azione della stessa e gli obiettivi che sta perseguendo.

I servizi dello Studio in quest’area sono organizzati quali proposte di pensiero sui rapporti in gioco nella scuola, sui vissuti che li organizzano, in funzione degli obiettivi che la scuola si da. Ad esempio, se la scuola deve preparare studenti sempre più in grado di affrontare un contesto esterno non più immaginato come fisso ma variabile, paga un prezzo alto se chiede accondiscendenza, se si sfila dal farsi parte dei bisogni educativi, se non promuove l’utilità del lavoro di gruppo in una società organizzata sempre più da contesti di lavoro più simmetrici che gerarchici, dove competenza, centratura sugli obiettivi e funzione che si svolge nel gruppo vengono prima dei ruoli che vi si ricoprono.

DIARIO DI BORDO & NETWORK

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